Era una fredda mattina dell’8 Aprile del 1925. La Rosa aveva appena dato alla luce un altro figlio. Anzi, figlia. Ma ormai non ci sperava piu’ di avere un altro maschio dopo Tonino, il primogenito. Questo era l’undicesimo parto per lei. Ne aveva avuto anche uno gemellare, molti anni prima. Erano nati un maschio e una femmina, ma il maschio era morto dopo poco. Sembrava proprio che le femmine di casa Samori’ avessero una resistenza in piu’!
Per la Rosa partorire per l’undicesima volta, in casa, significava rimettersi in piedi dopo poco, perche’ c’erano gli altri figli da accudire, la casa da mandare avanti, il marito da mettere a tavola e i vestiti da finire di cucire. La Rosa guarda velocemente la bambina, che pero’ non piange, non si lamenta, non si muove quasi. La guarda con l’aria di chi sa cosa sta per succedere, perche’ la vita e’ cosi’, chi non e’ forte non sopravvive. La Rosa ha ormai 40 anni e si sente vecchia e stanca, ma i figli sono un dono del Cielo e Dio decide se lasciarli vivere o meno. E’ una rassegnazione e accettazione comune per i genitori. Prende il rosario, lo posa sulla fronte della bambina dopo aver recitato una preghiera fra se’ e se’, poi si pulisce, si alza dal letto, mette la bambina in una cesta vicino al fuoco, avvolta in una copertina di lana azzurrina, poi si sistema i capelli nella retina, si mette lo scialle e va in cucina a rassettare e a preparare il pranzo.
La bambina non ha ancora un nome, perche’ non sanno bene cosa succedera’ con lei. Insomma, non piange, non si muove, non reclama il latte…ma respira piano nella sua cesta vicino al fuoco, in attesa del suo destino.
Passa una giornata intera e la Rosa si e’ quasi dimenticata della cesta vicino al fuoco. Non ci pensa o forse non ci vuole pensare. Ma ha anche altri 4 bambini piccoli da accudire, di cui una di appena un anno. La sua vita e’ gia’ abbastanza piena e poi comunque c’e’ la Divina Provvidenza che pensa a tutto e decidera’ per lei. Si dirige in cucina, tira fuori mestolo, farina, uova, zucchero e si mette a fare la ciambella. Con quella e’ sicura che i bambini saranno contenti! Impasta, inforna tutto e torna a pulire la casa.
Ad un certo punto si sente un lieve vagito provenire dalla sala. Comincia con un “gne gne” ma dopo poco muta in un pianto disperato, tanto che alcune delle bambine accorrono a vedere chi e’ che strilla cosi’. Era lei, la bimbetta quasi senza vita, che ci aveva messo un giorno per capire se valeva la pena vivere. E aveva capito che ne sarebbe valsa la pena, anche solo per poter assaggiare la ciambella della sua mamma qualche anno dopo! Il profumo della ciambella proveniente dal forno le aveva risvegliato i sensi. Ed e’ cosi’ che la Silvia apri’ finalmente gli occhi a questo mondo, che le avrebbe riservato una vita piena e intensa.
La Silvia e’ sempre stata un maschiaccio. Era forzuta, energetica, vispa e acuta. Una vera forza della natura! Faceva sempre tremila cose insieme, passando da una all’altra con una rapidita’ che faceva innervosire le sorelle piu’ grandi. Saltava i fossi, si arrampicava sugli alberi, staccava le mele dagli alberi del vicino e se le infilava nelle tasche, fregandosene di tutto e di tutti. Una volta lei e la sua sorella quasi gemella Elettra, per far paura alla Gina, la sorellina piu’ piccola (e ultima figlia della Rosa), presero una pelle di coniglio che la mamma aveva appena scuoiato per fare arrosto, la misero in cima ad un bastone e si appostarono dietro ad un cespuglio, aspettando che la Gina passasse. All’improvviso la Silvia alzo’ il bastone urlando “sono il Diavoloooooo!!! Ti vengo a prendere Ginaaaaaa!!!”. La Gina scoppio’ a piangere dallo spavento e corse dalla mamma, la quale ovviamente si infurio’ con la Silvia e la mise in punizione per due giorni interi. L’Elettra non ebbe la punizione perche’ chiese scusa e si penti’…ma la Silvia piuttosto che umiliarsi a chiedere scusa…preferi’ la punizione. Ma poi…che seccatura la Gina, viziata e fifona! Se lo meritava!
La Silvia non aveva paura di niente e nessuno. Nemmeno di quell’antipatico del figlio del vicino, che le faceva sempre i dispetti. Era veramente fastidioso ma lei non gli dava certo la soddisfazione di farsi vedere spaventata, anzi! Lo sfidava, a scuola e dopo la scuola. La Silvia aveva 11 anni e due occhi scuri come spilli, profondi e pungenti, che fulminavano letteralmente. Quando era arrabbiata, le belle sopracciglia si arcuavano verso l’interno, facendo da cornice agli occhi che diventavano due buchi neri, pronti ad inghiottire chiunque si fosse messo davanti a loro. Non aveva bisogno di parlare, bastava uno sguardo. Questa tecnica la uso’ sempre e io, nipote, me la ricordo molto bene. Le sgridate silenziose della nonna Silvia erano le piu’ temibili ed efficaci. Ma torniamo al vicino di casa. Un giorno lui con una scusa attiro’ la Silvia dietro casa e le butto’ addosso un nido di vespe incazzate. Queste cominciarono a pungerla ovunque, nel collo, nella faccia, nelle braccia, nelle gambe, ma la Silvia ebbe la forza di correre verso la mangiatoia e di buttarsi dentro l’acqua fredda. Quando il dottore la visito’, disse alla Rosa che un cavallo puo’ morire con 40 punture di vespa e che sua figlia ne aveva avute piu’ di 50. Se non era un miracolo questo! La Silvia se la cavo’ con qualche giorno di febbre e una fastidiosa convalescenza per guarire da tutti quei ponfi. Il ragazzino se la cavo’ con una sgridata e uno schiaffone da parte di suo padre. Ma da quel giorno non infastidi’ piu’ la Silvia, anzi, ne tenne sempre le distanze. Ma lei non smise mai di fulminarlo con lo sguardo ogni volta che lo incrociava. Aveva vinto lei alla fine.
La Silvia non era bella come l’Elettra (che a detta di tutti era la sorella piu’ bella), ma aveva fascino da vendere. La sua personalita’, il suo carattere forte e deciso, la sua totale assenza di paure, la sua forza interiore erano elementi rari da trovare in una ragazza degli anni ’40. Aveva dei lunghi capelli scuri ondulati, una pelle di porcellana e quegli occhi intensi e profondi che facevano innamorare tutti. Ma la parte piu’ bella di lei era il sorriso: due file di denti bianchi perfetti da fare invidia alle attrici di Hollywood e una risata cristallina e sincera che la faceva amare da tutti. La Silvia a scuola era sempre andata discretamente, ma non e’ che fosse molto accademica. La teoria le era sempre piaciuta poco, ma c’erano due materie che le riuscivano molto bene: la matematica e il tedesco! La matematica le veniva naturale come mettersi le scarpe. Capiva tutto al volo subito, correggeva gli insegnanti, era una calcolatrice umana. Faceva calcoli su tutto ed era molto brava con i soldi. Tanto che studio’ ragioneria e trovo’ subito lavoro come contabile da qualche Fattore della zona. Era talmente brava che se la litigavano tutti. La passione per il tedesco invece le venne grazie a sua sorella Elettra, che lo studiava e lo sapeva molto bene. Spesso l’Elettra la prendevano a fare da interprete coi Nazisti. La Silvia si era messa a studiarlo avidamente e spesso lo praticava con i soldati tedeschi che a volte la sua famiglia nascondeva, perche’ si erano ribellati a Hitler. Si’, hanno ospitato soldati inglesi, disertori, partigiani…hanno sempre fatto del bene a chi aveva bisogno, e questa cosa gli ha sempre fatto un grande onore. I rischi che hanno corso sono stati immensi, ma non li hanno mai fatti desistere dal fare la cosa giusta. Ovviamente la maggior parte dei soldati si innamorava della Silvia e voleva portarsela in Inghilterra o in Germania. Ma nessuno ci e’ riuscito.
Gli uomini impazzivano per lei. Facevano di tutto per conquistarla, le facevano regali, le davano passaggi in auto lussuose…ma lei non era interessata a nessuno. Era semplice, pura, incorruttibile. E si era invaghita di un musone brontolone che le moriva dietro, ma che faceva finta di non essere interessato. Si chiamava Rino. Lui le gironzolava intorno in bicicletta, ma standosene sempre timidamente alla larga, dalla parte opposta della strada. Avevano parlato qualche volta, ma lei lo trovava antipatico e cupo. Lui invece trovava lei spumeggiante, fresca e piena di vita. Ed era cotto a puntino. Ma troppo orgoglioso per dichiararsi. Un giorno lei accetto’ di andare a fare un pic nic con uno degli spasimanti che le sbavavano dietro. Quando Rino venne a sapere che lei aveva accettato la corte di quello la’, si arrabbio’ e si richiuse in se stesso. E smise di starle intorno. Ma la Silvia se ne accorse e le dispiacque tanto, perche’ alla fine si’, Rino era antipatico e truce, ma forse forse…le piaceva un bel po’. Cosi’ fece di tutto per rivederlo (con l’aiuto di amici in comune) e quando si trovarono l’uno di fronte all’altra capirono che erano fatti per stare insieme.
Rino e la Silvia si sposarono nel 1952. E lei divenne Silvana. Si’ perche’ a Rino piaceva di piu’ come nome…e poi gli ricordava quell’attrice che gli piaceva tanto! La Silvana e Rino ebbero due bambini, Eleonora e Carlo. Il parto di Carlo fu un po’ complicato, perche’ lui era un bambinone di 5 kg! Ma la Silvana riusci’ a darlo alla luce come una Vichinga. Solo che qualche giorno dopo le venne un ictus per lo sforzo e rimase mezza paralizzata per qualche tempo. Per fortuna si riprese perfettamente e riusci’ a tornare a fare la mamma, la moglie…e la ragioniera. Ora non lavorava piu’ a tempo pieno, ma teneva lo stesso la contabilita’ per qualche azienda. Negli anni passo’ dalle fattorie alle officine meccaniche. Li’, fra l’odore del grasso sul metallo, la morchia, le macchine, i camion e gli spifferi in inverno, la Silvana trovo’ il suo regno. Apprezzata da tutti, si fece tanti amici anche fra i colleghi e i capi. Tutti le hanno sempre voluto un gran bene, perche’ era una gran lavoratrice, era talentuosa, svelta e silenziosa. Ma sapeva anche essere di compagnia quando voleva. E quel sorriso illuminava le giornate di tutti.
Il matrimonio con Rino non e’ mai stato molto facile, perche’ lui era comunque sempre il solito brontolone abitudinario con le sue fisse e i suoi momenti. Ma era un uomo molto onesto, un bravo marito e un assiduo lavoratore. Molto studioso anche, visto che si era addirittura laureato in legge negli anni ’40! Il segreto per vivere tranquilli l’avevano trovato nella routine che si erano costruiti. E che (per quello che ho potuto vedere io) si poteva riassumere cosi’:
- sveglia all’alba. Preghiere insieme, colazione insieme
- Rino usciva a prendere il giornale e a fare la spesa
- La Silvana stava in casa a pulire e a pensare a cosa fare per pranzo
- Rino tornava sulle 11 con la spesa, poi si metteva a leggere il giornale in sala, mentre lei cominciava a preparare il pranzo.
- pranzo insieme. Spesso a pranzo avevano anche me e mio fratello, quando il nonno ci veniva a prendere da scuola. Poi arrivava Carlo, ed infine mia mamma. I pranzi dai nonni me li ricordero’ sempre con tantissima nostalgia…e le cose che la nonna preparava avevano sempre un sapore piu’ intenso e un gusto migliore. A parte che la nonna era veramente una gran cuoca…pero’ forse anche il fatto di pranzare li’ e di ridere e scherzare contribuiva a rendere quel momento cosi’ magico.
- riposino post-prandiale per lui e rassetto della cucina per lei (non ho mai visto la nonna riposarsi o fermarsi! Sempre con la scopa in mano o lo straccio per pulire!)
- Giretto in bici o a piedi di qualche ora per lui, fatture e partite iva da controllare per lei, poi cena da preparare
- cena insieme, che 9 volte su 10 consisteva in una insalata mista col tonno, poi Telegiornale e un film insieme. Poi a letto, preghiere e buonanotte.
Hanno resistito a stare insieme piu’ di 60 anni forse anche perche’ hanno sempre rispettato molto i propri spazi, non si sono mai soffocati a vicenda e si sono sempre amati molto. Caratterialmente erano il Polo Nord e il Polo Sud, ma forse questo li ha resi complementari.
Ogni estate io e mio fratello trascorrevamo quasi 2 mesi al mare con i nonni. Non era sempre facile con le regole e gli orari imposti, ma la nonna ci faceva sempre trovare tutto in ordine, il pranzo e la cena pronti, la casa pulita. La sera spesso ci mettevamo a guardare la TV insieme, oppure stavamo in terrazza a giocare a carte e bere la birra con loro. Quante partite a carte! E la nonna vinceva sempre! Non parliamo poi di quando si giocava a Machiavelli: non c’era niente da fare contro la sua testa matematica! In spiaggia ci veniva poco, perche’ diceva che non aveva tempo. In effetti star dietro a orari di pranzo e cena del nonno non era facile. Pero’ quando in spiaggia trovava qualche turista tedesco, non si faceva mai sfuggire l’occasione per una chiacchierata. Le altre lingue non l’avevano mai interessata: il francese lo aveva studiato un po’ ma non le piaceva, e l’inglese non le e’ mai entrato in testa. Ma il tedesco le e’ sempre piaciuto moltissimo.
E ora cerco di riassumere in poche righe gli ultimi anni della sua vita, che e’ stata intensa e piena di significato per tutti noi, fino alla fine.
La nonna andava sempre in bicicletta ovunque. Il 12 giugno 2014 al mare inforca la bici arrabbiata, per andare a cercare le chiavi di casa che il nonno dice di aver lasciato forse sotto l’ombrellone. Ha 89 anni ed e’ ancora un fulmine. Mentre attraversa la strada, una macchina la prende in pieno, facendole fare un volo di diversi metri e facendola atterrare sul cemento. Viene assistita, e’ ancora viva. La portano con l’eliambulanza all’ospedale Bufalini di Cesena. Mentre e’ per aria, ha un arresto cardiaco, ma viene rianimata e ritorna sulla terra. In ospedale resta in coma per diversi mesi. Riporta fratture ovunque, compresi al femore e al bacino. Il primario ci disse che non c’erano molte speranze, data l’eta’ e le condizioni. Non potendo alimentarsi da sola le mettono la PEG e la attaccano anche al respiratore perche’ da sola non ce la farebbe. Passano mesi…si risveglia! Passano altri mesi…le tolgono il respiratore perche’ riprende a respirare bene da sola. Le tolgono anche la PEG, perche’ ricomincia a mangiare da sola. Purtroppo e’ allettata perche’ non potendosi muovere per mesi e con tutte quelle fratture non e’ piu’ possibile rimetterla in piedi. Pero’ riescono a metterla seduta. Riprende piano piano conoscenza del mondo che la circonda, con diverse lacune, vuoti di memoria…ma piano piano ricomincia a parlare, a sorridere, a vivere. Tante cose non se le ricordera’ piu’, ma tante altre si’, soprattutto quelle della sua gioventu’. Ma una cosa di cui non si e’ mai dimenticata e’ la matematica: le tabelline le vengono ancora facili e veloci. E il suo sorriso e’ sempre li’, come i suoi occhi vispi e pungenti. E il suo spirito guerriero che non le fa accettare la sua situazione ma che le da’ una forza fisica incredibile. Ha sempre avuto un istinto di sopravvivenza pazzesco, tutta la sua vita. E ora non la abbandona nemmeno quando lei vorrebbe. Trascorre 6 anni fra ospedale e casa di riposo, dove ha fatto innamorare di se’ infermiere, fisioterapisti e psicologhe. E dove ha anche sempre detto la sua su compagne di stanza fastidiose, cibo poco buono o badanti che non le andavano a genio. Si’ perche’ la Silvana o Silvia non ha mai avuto peli sulla lingua e ha sempre detto quello che pensava, senza nessun timore. Arriva la COVID-19 e scoppia una mezza epidemia in casa di riposo. Ma lei non se la prende. Viene trasferita in un piano dedicato ai “sani” e, a parte le visite meno frequenti che puo’ ricevere, continua a stare abbastanza bene. Purtroppo negli ultimi anni la demenza senile si e’ portata via molto di lei e del suo spirito…ma se la si guarda negli occhi, il suo spirito e’ ancora li’, intrappolato in un corpo che non accetta, perche’ abituato ad una vita sempre in movimento. Ma c’e’. Un giorno finisce in ospedale per un’infezione renale e nonostante i dottori dicano che non ci sono molte speranze che ne esca viva, lei ne esce viva. Si riprende e viene riportata in casa di riposo. Purtroppo la prassi in tempi di COVID e’ quella di tenere in isolamento per due settimane, quindi lei si trova di nuovo sola con se stessa, a guardare il soffitto e a pregare che Dio abbia pieta’ di lei. Certo, le mancano le visite dei suoi cari, ma e’ stanca di lottare. E’ stanca di quella prigionia. Ha 95 anni, sta ripensando alla sua vita, alle soddifazioni e alle gioie che le hanno dato i suoi figli, i suoi nipoti e anche i suoi bis-nipoti, che ha avuto la fortuna di conoscere e badare ogni tanto. Sta ripensando ai pranzi insieme ai suoi cari, alla partita di carte coi nipoti, al sapore della birra fresca in una calda serata estiva. Sta ripensando alla sigla del TG1, al nonno che sbuffa, all’odore dell’officina meccanica, alle fatture da preparare. Sta ripensando alla ricetta del dolce Richelieu che le aveva passato la Contessa, alla frutta che le ha regalato il Fattore, alle corse in bicicletta con sua sorella. Ai fossi da saltare, alle rane da catturare. Al vestito della Domenica cucito dalla Rosa, alle corse coi libri sotto braccio. Sta pensando al rumore dei bombardieri, alle sirene, ai rifugi, alla paura delle rappresaglie naziste. “Respira, Silvia, respira…o forse no…basta…non sei stanca?”. Un attimo ancora, le stanno tornando in mente la Gina che piange e la Rita che la rimprovera. Anche il babbo, con la sua testa pelata. E la Rosa che le accarezza la testa mentre ha la febbre. E c’e’ una cosa che non ha mai dimenticato e che l’ha accompagnata per 95 lunghi anni: il profumo della ciambella nel forno, quello che ha sempre detto che l’ha fatta risvegliare quando era neonata. Lo sente il profumo…la sta avvolgendo e inebriando, la sta riportando al quella giornata del 9 aprile del 1925, quando ha aperto gli occhi al mondo. Quegli occhi profondi e pieni di spirito che finalmente puo’ chiudere ora.
Io sono sicura che l’odore della ciambella e’ stata l’ultima cosa a cui ha pensato la mia nonna. E so che se ne e’ andata in pace.
“Cara nonna, il tuo spirito, la tua forza, la tua gentilezza e nobilta’ d’animo e l’amore incondizionato che hai sempre dato a tutti hanno contribuito ad arricchire la mia vita, sin dal momento in cui mi hai presa in braccio per la prima volta. Custodiro’ sempre i ricordi dei bei momenti passati insieme, delle nostre chiacchierate, delle nostre risate. Sei sempre stata la mia roccia, la quercia della famiglia. Noi due ci siamo sempre capite con un solo sguardo. Lasci questa terra dopo tanti anni di vita intensa in cuin hai lasciato una traccia indelebile. Grazie per esserci sempre stata col tuo meraviglioso sorriso. Ora finalmente puoi riposare in pace”
Rocca San Casciano, 8 Aprile 1925 – Forlì 1 luglio 2020
Nota: Quello che ho scritto si basa sui racconti che ho sempre sentito dalla nonna. Alcune cose sono state leggermente ampliate da me, ma corrisponde tutto alla realtà.
Trovo che questo modo di ricordare e rendere omaggio alla vita di tua nonna sia intenso, commovente e bellissimo. Un abbraccio da tanto lontano geograficamente parlando quanto vicino emotivamente.
Grazie Vicky 💗
Ciao, ho letto il post su tua nonna, e grazie alle descrizioni me l’hai fatta conoscere, anche se questo non è mai avvenuto.
Un racconto bello, ironico e pieno di aneddoti interessanti.
Complimenti a una grande donna, e a te che sei anche parte di lei.
Grazie Elvis! Un abbraccio