Il 4 marzo di 15 anni fa è stato il giorno più difficile, ingiusto, terribile e doloroso della mia vita. Mi ha portato via il mio papà, senza nemmeno darmi il tempo di abbracciarlo un’ultima volta e dirgli quanto bene gli volevo. Non so se ho superato questa perdita. Mi ci sono abituata, me ne sono fatta una ragione…ma certe cose non si supereranno mai. Certi dolori sono come gocce di corrosivo per l’anima.

Stamattina mi sono svegliata pensando a quanto sia incredibile andare avanti, diventare grandi e rimanere sani di mente, dopo la perdita di una persona fondamentale per la propria vita. Mio padre non era solo un padre. Era un complice, un compagno di scherzi idioti, uno che mi capiva al volo senza dover chiedere conferme. Uno che rispettava i miei silenzi, il mio carattere chiuso, la mia apparente freddezza. Tanto lo sapeva che gli bastava una sola smorfia per farmi scoppiare a ridere. O gli bastava fare finta di fare l’offeso per farmi precipitare ad abbracciarlo per paura di averlo ferito. Quante risate!

Mio padre era anche molto geloso…voleva proteggermi da tutto. Ma non era soffocante. Solo per scherzo. E solo per farmi arrabbiare…sempre per scherzo. Quando si ammalò gli dissi che avrei rinunciato ad andare in Erasmus in Germania per stare con lui. Al che mi guardò dritto negli occhi, serio (e non lo era quasi mai con me) e mi disse: “non ho speso tutti quei soldi in passato e adesso per farti restare qui. Tu sei destinata a scoprire il mondo e devi studiare e imparare le lingue…anche perché il principe Giapponese ti aspetta!”…ed era ovvio che avrebbe finito con la cosa scherzosa per sdrammatizzare! 😁😁

Sta storia del principe Giapponese non so come gli fosse venuta fuori un giorno, quando avevo 17 anni. Si era fissato che mi sarei sposata un principe Giapponese di nome Toshiro. Chissà, forse sperava che dicendo una cosa così assurda io sarei rimasta in cerca del principe azzurro (Giapponese) e non avrei guardato gli altri ragazzi! Quanto mi faceva ridere!

Il 4 marzo 2003 ero a Bonn quando mia mamma mi chiamò dicendomi che papà voleva vedermi e che dovevo partire il prima possibile. Sta cosa mi procurò un brivido freddo lungo la schiena, un presagio di cose terribili. Non capivo come mai non me lo passava al telefono. Ero infastidita, paralizzata dalla paura di sentirmi dire quello che il sangue e lo stomaco mi stavano già facendo capire. E che razionalmente scansavo dai pensieri.

Prenotai un volo per il 5 marzo e in aereo piansi le lacrime più dense, vere e disperate che avessi mai versato. Un figlio le sente certe cose. Lo sente quando il filo rosso viene tagliato. Ma cercai di pensare positivo…magari veramente stava solo tanto male e voleva vedermi. Ma pensare positivo non è mai stato il mio forte (anche in questo ci somigliavamo molto noi due).Quando arrivai in aeroporto mi vennero a prendere i miei zii. In macchina erano silenziosi e li vedevo scuri in volto. Il collo che deglutiva magoni inespressi. Poi finalmente incrociai gli occhi di mia zia ed entrambe scoppiammo a piangere. Mi stavano portando alla Camera mortuaria.

Quando arrivai lui era lì, steso, immobile. Sembrava di cera. Sembrava sereno. Era bello…la malattia non era riuscita a portargli via il suo fascino del 53enne giovanile che era. Non aveva vinto su di lui, che teneva talmente tanto al suo corpo che una volta mi disse che se doveva ridursi un mostro preferiva morire.

Alcuni dettagli li ho rimossi perché non riesco a ricordarli…ma ricordo che gli misi nella tasca della giacca un CD che avevo fatto con un mix di brani dei Pink Floyd, che rappresentavano la nostra musica, il nostro legame fortissimo e la pelle d’oca che ci facevamo venire insieme quando li ascoltavamo.

Io non so dove lui sia ora esattamente, ma so che è a lui che mi rivolgo quando sono triste, o quando ho un problema. Lo sento che veglia su di me e sento che è fiero della donna che sono diventata.

Ciao papy…🖤